10 motivi per abolire la pena di morte

L’ex dittatore iracheno Saddam Hussein è stato giustiziato (per impiccagione) pochi giorni fa. Le reazioni dei leader politici di tutto il mondo sono state molteplici. C’è anche chi (come Bush) s’è rallegrato per la condanna e la conseguente esecuzione, a parte che mi chiedo come la morte di qualcuno possa provocare allegria, ma tant’è… Fatto sta che molte persone, sulla base di premesse errate o fuorvianti, sono convinte che la pena di morte sia utile o necessaria per combattere certi reati e per dare il “buon esempio”. Niente di più sbagliato. Per certi crimini, le uniche pene eque sono l’ergastolo (e per chi dice che la prigione a vita è una passeggiata, consiglio una visita nelle carceri per farsi un’idea più corrispondente alla realtà e, soprattutto, scevra da pregiudizi…), il risarcire gli eredi (anche se niente potrà riportare in vita la vittima…) e, in certi casi, i lavori socialmente utili. La pena di morte non serve a NULLA.

Ecco perché.

1)La pena di morte non serve come deterrente per i crimini.

In Giappone, dove la pena di morte è prevista dalla legge, tra il novembre del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese perchè i ministri di giustizia dell’epoca erano contrari alla pena di morte: durante la moratoria, il tasso di criminalità non aumentò, anzi diminuì.

L’argomento della deterrenza è quello più frequentemente chiamato in causa: condannare a morte un trasgressore dissuaderebbe altre persone dal commettere lo stesso reato. Tale argomento non è tuttavia valido, per diversi motivi.

Nel caso, per esempio, del reato di omicidio, sarebbe difficile affermare che tutti o gran parte degli omicidi vengano commessi dai colpevoli dopo averne calcolato le conseguenze. Molto spesso gli omicidi avvengono in momenti di particolare ira oppure sotto l’effetto di droghe o di alcool oppure ancora in momenti di panico. In nessuno di questi casi si può pensare che il timore della pena di morte possa agire da deterrente.

Inoltre la tesi della deterrenza non è assolutamente confermata dai fatti. Se infatti la pena di morte fosse un deterrente si dovrebbe registrare nei paesi mantenitori un continuo calo dei reati punibili con la morte e i paesi che mantengono la pena di morte dovrebbero avere un tasso di criminalità minore rispetto ai paesi abolizionisti. Nessuno studio è però mai riuscito a dimostrare queste affermazioni e a mettere in relazione la pena di morte con il tasso di criminalità.

Un’analisi delle percentuali di omicidi in paesi abolizionisti e mantenitori ha dimostrato che i paesi mantenitori hanno in genere una percentuale maggiore. Tale analisi prendeva in considerazione i cinque paesi abolizionisti ed i cinque paesi mantenitori con il maggior numero di omicidi. Confrontando i dati, l’analisi conferma che nei cinque paesi abolizionisti il tasso più alto di omicidi era 11.6 per 100.000 persone, mentre nei paesi mantenitori il tasso più elevato era 41.6 per 100.000 persone.

Vi sono inoltre dati sulla criminalità di vari paesi che dimostrano come l’abolizione della pena di morte non comporti alcun aumento della criminalità.

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2) L’applicazione delle norme giuridiche è spesso soggetta a errori umani dolosi o involontari.

La pena di morte non colpisce solo i colpevoli, ma anche, forse più spesso di quanto si immagini, persone innocenti.

Uno studio dello Stanford Law Review ha documentato in questo secolo 350 casi di condannati a morte negli Stati Uniti, in seguito riconosciuti innocenti. Di questi 25 erano già stati giustiziati, mentre altri avevano già trascorso decenni in prigione. 55 dei 350 casi risalgono agli anni ’70, 20 risalgono agli anni compresi tra il 1980 ed il 1985.

In Giappone, Sakae Menda fu condannato a morte nel 1950 per un omicidio commesso nel 1948. 33 anni dopo egli fu riconosciuto innocente e rilasciato, dopo aver vissuto per oltre trent’anni nell’attesa dell’esecuzione.

A Taiwan nel febbraio 1982 fu riconosciuto innocente e rilasciato un uomo di 74 anni, condannato per un omicidio commesso nel 1972.

Numerosi sono anche i casi in cui incompetenza e corruzione hanno causato condanne a morte di innocenti. Tra questi il caso di Vladimir Toisev, abitante di un villaggio della Repubblica di Bielorussia, condannato a morte per omicidio nel 1970. Passò diciotto mesi prima di ricevere la commutazione della condanna, ma fu rilasciato solo nel 1987. Nel 1987 l’organo di stampa Znamya Yunosti affermò che gli investigatori avevano strappato una confessione a Toisev nel corso di interrogatori notturni e avevano picchiato suo fratello per poter ottenere prove false che avvalorassero la confessione. Quando fu scoperto il vero colpevole, gli investigatori tennero segrete le informazioni per nascondere l’errore commesso.

Nel 2000 il Governatore dell’Illinois ha decretato una moratoria a tempo indeterminato atta a stabilire l’iniquità di alcuni processi durante i quali alcuni detenuti innocenti erano stati condannati alla pena capitale e molti stati nel mondo negli ultimi 2 anni stanno seguendo quest’esempio.

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3) La pena di morte è un’arma troppo potente in mano a governi sbagliati.

Può essere sfruttata dal governo per eliminare personaggi politicamente o religiosamente scomodi, alterando persino il concetto di gravità di certi atti. E’ quello che sta attualmente accadendo in Cina dove si muore non solo per aver commesso crimini gravi, ma anche per il semplice fatto di opporsi al regime. Nel 1999 il 60% circa delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese.

I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto che spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome ed il reato per il quale vengono giustiziati.

Le Associazioni umanitarie, inoltre, denunciano il fatto che spesso ai condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro permesso; si ritiene che alcune condanne vengano eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti!

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4) L’applicazione della pena di morte non incentiva la ricerca di sistemi preventivi.

Quando viene applicata la pena di morte, la gente prova quasi un sentimento di soddisfazione, quasi che in questo modo il crimine commesso fosse ripagato, espiato, dimenticando in realtà che la vittima ha subito un’ingiustizia che non potrà mai essere ripagata. Tuttavia la gente è come soddisfatta. Lo Stato si mostra così “giusto” ed efficiente contro il crimine. In questo modo si corre il rischio che lo Stato possa sentirsi dispensato dal ricercare una soluzione che prevenga il crimine stesso.

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5) Il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa la nostra società.

Come nessun uomo ha il diritto di uccidere un suo simile per qualsiasi motivo – il diritto alla vita è un principio fondamentale su cui si basa la nostra società – così lo Stato, che agisce razionalmente, non spinto dall’emozione del momento, e in quanto garante della giustizia, non deve mettersi sullo stesso piano di chi si macchia del più orribile dei crimini: l’omicidio.

Così facendo si fornirebbe a tutti un esempio di atrocità compiuto dalla legge stessa, mentre essa è stata creata proprio per la tutela dei diritti umani e quindi per quello della vita.

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6) Lo Stato si comporterebbe in modo criminale come il criminale stesso.

Le leggi, infatti, moderatrici della condotta degli uomini e espressioni della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commetterebbero uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinerebbero un pubblico assassinio.

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7) La pena di morte è discriminatoria.

La pena di morte è spesso usata in maniera discriminatoria nei confronti di minoranze razziali, di persone povere e scarsamente istruite e in alcuni casi può venire usata come arma contro oppositori politici.

Un esempio di come la pena di morte sia usata in maniera iniqua nei confronti delle minoranze si ha negli Stati Uniti. Studi effettuati recentemente sulle condanne a morte comminate in vari stati degli USA hanno dimostrato che l’accusa ha chiesto in media la pena di morte nel 50% dei casi in cui l’accusato era nero e la vittima bianca e solo nel 28% dei casi in cui sia l’accusato che la vittima erano neri.

E’ inoltre dimostrato che la stragrande maggioranza di coloro che hanno subito la pena di morte, era gente povera. Il ricco non subirà mai la pena di morte. Il ricco può pagarsi qualsiasi avvocato, può pagare la propria libertà.

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8) La pena di morte non ristabilisce alcun equilibrio.

I parenti, gli amici e i conoscenti della/e vittime non si sentono sufficientemente ripagati dalla morte dell’assassino. Lo sarebbero se ciò servisse a riportare in vita la vittima, se la morte dell’assassino servisse veramente a ristabilire una situazione di equità.

In realtà se il ladro commette il furto, la restituzione del denaro può servire a ristabilire una situazione di equità e il carcere avrebbe la funzione sia come deterrente, sia per la riabilitazione stessa del ladro. Purtroppo l’omicidio, qualunque siano le motivazioni, è talmente grave proprio perchè innesca un meccanismo di non ritorno. Nessun atto potrà mai riportare indietro una persona morta, solo un miracolo.

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9) Lo Stato è corresponsabile dei crimini commessi.

Consideriamo il fatto che la personalità di ogni individuo è profondamente segnata dall’ambiente circostante, dagli eventi che si trova costretto ad affrontare e dagli eventuali disturbi mentali che lo affliggono. Come può quindi la società ritenere la sua morte indispensabile pur essendo, in un certo senso, corresponsabile di ciò che egli ha compiuto? Si arriva davvero al paradosso.

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10) Pena di morte = risparmio?

Una delle argomentazioni a favore della pena di morte si basa sul fatto che è meno costoso uccidere i colpevoli piuttosto che tenerli in carcere. Tuttavia alcuni studi svolti in Canada e negli Stati Uniti dimostrano che l’applicazione della pena di morte è più costosa del carcere a vita.

In media il giudizio capitale e gli appelli di primo grado costerebbero ai contribuenti circa 1.8 milioni di dollari, due volte di più di quanto costi mantenere una persona in carcere a vita.

Uno studio condotto in Florida nel 1988 sosteneva che i contribuenti pagano oltre 3.1 milioni di dollari per ogni esecuzione.

Fonte: Coalizione italiana contro la pena di morte Da consultare anche il sito Nessuno tocchi Caino

Può bastare?? Senza considerare il fatto che il Medioevo è finito da un pezzo… Ma purtroppo a volte l’ignoranza (non in senso offensivo, significa semplicemente ignorare ovvero non conoscere) è dura da combattere… Tuttavia, in certi casi, basterebbe semplicemente documentarsi un filino di più prima di esprimere un’opinione. O no?

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