Non ho tempo…

Il problema dell’umanità? Delle persone “normali”? Delle persone che in realtà non hanno problemi seri?!? IL TEMPO…

Quante volte sento dire: “non ho tempo”… non ho tempo per riposare, non ho tempo per sistemare, non ho tempo di guardami un film, non ho mai tempo di fare niente… già, l’unico VERO tesoro che abbiamo in questa vita è il tempo, non sono i soldi, il lavoro o l’avere una bella casa, il tempo che ci è concesso per essere presenti qui su questa terra è la vera ricchezza di ognuno di noi e ognuno ha il suo tempo…

In questo momento mi viene da pensare: saranno mai esistite delle persone con la stessa IDENTICA ricchezza (sempre di tempo stiamo parlando)… persone quindi che sono rimaste in vita per gli stessi identici anni, giorni, ore e magari secondi… sì, proprio una presenza terrena IDENTICA… .-p SICURAMENTE dai… siamo 8 miliardi di persone in “contemporanea”, ci sarà qualcuno che nasce e muore con le stesse ore!

Comunque mi ci ritrovo anch’io a sentire questa mancanza… me ne rendo nettamente conto soprattutto in campo informatico, una volta ero il re dell’archiviazione, OGNI documento digitale era sempre catalogato e archiviato con tutti i crismi “severi” che mi imponevo… se si faceva un’uscita con la famiglia o gli amici e si facevano foto, a casa scattava subito il lavoro di archiviazione:

creazione cartella dentro il faldone specifico dell’evento, compleanni, cene, ferie, capodanni, ecc..

Addirittura facevo un file di testo (partecipanti.txt) con dentro l’ordine di arrivo delle persone… :-p

Ora invece riguardo le foto, è tutto un “casino” (che cmq è sempre decisamente sopra lo standard delle altre persone), non divido più nulla così in dettaglio, ho una grossa cartella (MEGA FRAMMENTI DI VITA) (Sì, ho anche FRAMMENTI DI VITA) e bene o male, butto tutto lì dentro, l’unica cosa che cerco di fare è rinominare ogni singolo file che scarico nel formato aaaammgghhmmss.jpg (Anno mese giorno ora minuti e secondi) in modo che se nell’evento ci sono diversi dispositivi che fanno foto (io e Irene per dire) nello scaricare i file dai vari device, c’è un minimo di continuità e ordine…

Cerco di sistemare al meglio almeno i referti medici impostando sempre la data come riferimento:

E quando compro un nuovo dispositivo cerco nel possibile di registrarlo sul sito del produttore e di fare una cartella con dentro le varie ricevute e i vari estremi del prodotto (data di acquisto, modello, serial number, ecc…):

Ma per fare tutto questo, oltre che una Grande pazienza, ci vuole anche un sacco di tempo, cosa che purtroppo non ho più… non sono più da solo a passare le nottate davanti al PC, ho gli impegni di un intera famiglia, moglie, bimbi, animali, casa… e così il digitale, la mia vita digitale è messa in secondo piano… mi spiace perchè alcune volte può sembrare che non me ne freghi di guardare le foto o i pensieri degli amici digitali e non, E NON E’ COSI’, ma come si fa?!? Solo un esempio delle notifiche DI OGGI appese:

Più di 60 video da guardare su Youtube, più di 20 messaggi su Facebook e più di 1200 messaggi su Telegram che dovrei leggere… Vabbeh, tutte cose sacrificabili, però ammetto che un minimo senso di “ansia” me lo mettono!

Nella nuova configurazione del mio tempo con la tecnologia c’è quindi SEMPRE per prima la mail, la prima cosa che faccio quando prendo il telefono o accendo il PC è guardare la mail, tutto mi arriva lì, le notifiche, gli alert, gli appuntamenti, la corrispondenza… Ho una ventina di indirizzi email sparsi sui vari provider/siti che mi inoltrano TUTTE le comunicazioni sulla mia email principale, tutte le comunicazioni sono filtrate in automatico con etichette dedicate per ogni singolo account.

Finito con la mail, passo ai feed dei vari siti che seguo… 100 o 200 nuovi articoli ogni giorno, ma anche qui ho una classifica, le news essenziali e poi via le altre di secondo rilievo. Finiti i vari aggiornamenti da internet passo a leggere WhatsApp, poi allora cazzeggio con Instagram o Twitter… Facebook è L’ULTIMA cosa che guardo. Insomma, alla fine penso che x la mia salute psichica il cellulare lo posteggio sempre il più possibile, e cerco piuttosto di sedermi sulla sdraio a guardare le stelle piuttosto che “sprecare” tempo con questi mezzi tecnologici in mano, non me ne volete, vi voglio bene lo stesso!

2 commenti su “Non ho tempo…”

  1. Tempo medio settimana Patrick Instagram

    BUON ANNO…

    Sì, può essere che non vi siano arrivati i miei auguri, (questo mio Screenshot è l’utilizzo medio dell’ultima settimana su Instagram… ZERO, MAI aperto) magari siete preoccupati perchè non avete più mie notizie digitali da settimane… ebbene, sappiate che sto bene, stiamo tutti bene… “semplicemente” non ho postato nessuna foto, nessun augurio da NESSUNA parte, non su Instagram, non su Facebook, non su Twitter, non su Tik Tok (non ce l’ho) non su Mastodon e nemmeno uno stato veloce-veloce su WhatsApp, nè su…. quale altra “porcheria” c’è in giro?!??! :-p SI’, sono un Orso rompipalle, ma sto avendo avversione dietro questo modo di comunicare e personalmente IO, non glielafo’…

    L’unico “problema” è che mi sento ogni tanto un pesce fuor d’acqua… soprattutto durante queste festività, mi capita di guardarmi attorno, ad osservare ragazzi e adulti, e la presenza del cellulare è SEMPRE fissa nelle persone, tutti a scattare e a condividere. Io no, io non lo faccio! Meglio così?!? Peggio?! Non lo so, diciamo che è DIVERSO, il Grinch non ce la fa, inutile litigare con i figli di spegnere il telefono di non guardare Youtube e poi essere sempre io lì davanti no??!?…

    In ogni caso AUGURI, spero che il 2023 sia un anno “facile”, anche se guardandosi in giro, è tutto fuorchè facile lì fuori, ma un consiglio per far andare meglio la vita ve lo do, ABBANDONATE lo smartphone e ANNOIATEVI guardando le stelle o un fiume o anche un semplice ruscello che scorre lì vicino… per la mente è molto più facile riposare così!!! BACI

  2. Paolo Attivissimo ha tradotto un saggio di Cory Doctorow, un blogger Canadese molto famoso, leggete e cercate di capire in che pantano di M. siamo con internet ed i vari Social che tanto amiamo… lo riporto per intero qui sotto perchè veramente interessante (purtroppo).

    Cory Doctorow e la enshittification: perché i servizi online e i social network commerciali diventano tutti tossici. Metaverso compreso

    Riporto qui la mia traduzione di un saggio di Cory Doctorow che spiega molto bene la dinamica che porta sistematicamente i servizi online e i social network di natura commerciale a deteriorarsi progressivamente dal punto di vista degli utenti. Lui definisce questa dinamica senza mezzi termini come enshittification, ossia grosso modo “immerdificazione”, e noterete che si applica perfettamente non solo a Tiktok ma anche all’evoluzione di Twitter di questi ultimi mesi.

    L’immerdificazione di Tiktok
    di Cory Doctorow – Link all’originale – traduzione sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0.
    Ecco come muoiono le piattaforme: dapprima trattano bene i propri utenti; poi abusano dei loro utenti per migliorare le cose per i loro clienti commerciali; e infine abusano di quei clienti commerciali per riprendersi tutto il valore e tenerlo per loro. E poi muoiono.

    Io chiamo questo processo immerdificazione (enshittification), ed è una conseguenza a quanto pare inevitabile che nasce della combinazione della facilità nel cambiare il modo in cui una piattaforma alloca valore, combinata con la natura di un “mercato a due parti”, laddove una piattaforma si piazza fra venditori e acquirenti e tiene ciascuno in ostaggio per l’altro, portandosi via una quota sempre più grande del valore che passa tra loro.

    Quando una piattaforma prende il via, ha bisogno di utenti e quindi si rende prezioso per loro. Pensate ad Amazon: per molti anni ha operato in perdita, usando il suo accesso al mercato dei capitali per sovvenzionare tutto quello che compravate. Vendeva beni sottocosto e li spediva sottocosto. Gestiva un sistema di ricerca pulito e utile. Se cercavi un prodotto, Amazon faceva l’impossibile per piazzarlo in cima ai risultati di ricerca.

    Questo era un ottimo affare per i clienti di Amazon. Sono arrivati a frotte, e molti rivenditori che avevano negozi fisici sono sfioriti e sono morti, rendendo difficile andare altrove. Amazon ci ha venduto e-book e audiolibri che erano vincolati permanentemente alla sua piattaforma tramite DRM, in modo che ogni dollaro che spendevamo comprando dei media era un dollaro al quale avremmo dovuto rinunciare se avessimo cancellato Amazon e le sue app. E Amazon ci ha venduto Prime, convincendoci a pagare in anticipo per un anno di spedizioni. I clienti di Prime iniziano le loro ricerche per acquisti su Amazon, e il 90% delle volte non cercano altrove.

    Questo ha indotto molti clienti commerciali a entrare: venditori nel Marketplace, che hanno trasformato Amazon nel “negozio per tutto” che aveva promesso sin dall’inizio. Man mano che questi clienti entravano in massa, Amazon ha cominciato a dare sussidi ai fornitori. I creatori di Kindle e Audible ricevevano compensi generosi. I rivenditori nel Marketplace raggiungevano un pubblico enorme e Amazon prendeva da loro delle commissioni basse.

    Questa strategia comportava il fatto che diventava progressivamente più difficile, per chi cercava di fare acquisti, trovare cose in qualunque altro posto diverso da Amazon, e questo voleva dire che cercava solo su Amazon, e quindi i venditori dovevano vendere su Amazon.

    È stato a questo punto che Amazon ha cominciato a raccogliere le eccedenze dai suoi clienti commerciali e le ha passate ai suoi azionisti. Oggi i venditori del Marketplace passano ad Amazon il 45% e oltre del prezzo di vendita sotto forma di costi fittizi. Il programma “pubblicitario” da 31 miliardi di dollari dell’azienda è in realtà un sistema a payola [nel mondo del business musicale, quando una casa discografica o simile paga un DJ o direttore radiofonico per far trasmettere un suo brano, N.d.T.] che mette i venditori uno contro l’altro, costringendoli a fare offerte per la possibilità di essere in cima alla vostra ricerca.

    Fare una ricerca in Amazon non produce un elenco dei prodotti che corrispondono maggiormente alla vostra ricerca: fa comparire un elenco dei prodotti i cui venditori hanno pagato di più per essere in cima a quella ricerca. Questi costi sono incorporati nel prezzo che pagate per il prodotto, e il requisito di “nazione più favorita” di Amazon significa che i venditori non possono vendere altrove a un prezzo inferiore, per cui Amazon ha dettato i prezzi di ogni venditore.

    Cercate “lettini per gatti” su Amazon: tutta la prima schermata è costituita da pubblicità, compresi prodotti che Amazon ha clonato dai propri rivenditori, facendoli fallire (i venditori terzi devono pagare il 45% in costi fittizi ad Amazon, ma Amazon non applica questi costi fittizi a se stessa). In tutto, le prime cinque schermate di risultati per “lettini per gatti” sono pubblicità per il 50%.

    https://pluralistic.net/2022/11/28/enshittification/#relentless-payola

    Questa è l’immerdificazione: le eccedenze vengono dapprima rivolte agli utenti; poi, una volta che sono intrappolati, le eccedenze vanno ai fornitori; poi, una volta che sono intrappolati anche loro, le eccedenze vengono passate agli azionisti, e la piattaforma diventa un’inutile montagna di letame. Dagli store di app per telefonini a Steam a Facebook a Twitter, questo è il ciclo di vita della enshittification.

    Ecco perché, come ha scritto Cat Valente nel suo saggio magistrale prenatalizio, piattaforme come Prodigy si sono trasformate, da un giorno all’altro, da un posto dove andavi per i collegamenti sociali a un posto dove eri tenuto a “smettere di parlare con gli altri e cominciare a comprare cose”:

    https://catvalente.substack.com/p/stop-talking-to-each-other-and-start

    Questo gioco delle tre carte, giocato con le eccedenze, è quello che è successo a Facebook. All’inizio Facebook ti trattava bene: ti mostrava le cose che avevano da dire le persone che amavi e alle quali volevi bene. Questo ha creato una sorta di presa di ostaggi reciproca: una volta che su Facebook c’era una massa critica di persone alle quali tenevi, diventava in pratica impossibile andarsene, perché avresti dovuto convincere tutte queste persone ad andarsene anche loro e metterle d’accordo su dove andare. Vuoi bene ai tuoi amici, ma capita spesso di non riuscire ad accordarsi su quale film andare a vedere e dove andare a cena. Lascia perdere.

    Poi Facebook ha cominciato a riempire il feed con post di account che non seguivi. All’inizio si trattava di aziende del settore dei media, che Facebook ficcava in gola ai propri utenti in modo preferenziale affinché cliccassero sugli articoli e mandassero del traffico ai giornali, alle riviste e ai blog.

    Poi, una volta che quelle pubblicazioni erano diventate dipendenti da Facebook per il loro traffico, Facebook ha smorzato quel traffico. Dapprima ha messo una strozzatura nel traffico verso le pubblicazioni che usavano Facebook per pubblicare degli estratti contenenti dei link ai loro siti; lo ha fatto allo scopo di spingere le pubblicazioni a fornire dei feed di testi integrali all’interno del giardino cintato di Facebook.

    Questo ha reso le pubblicazioni profondamente dipendenti da Facebook. I loro lettori non visitavano più i siti delle pubblicazioni ma ne fruivano su Facebook. Le pubblicazioni erano ostaggi di quei lettori, che erano ostaggi gli uni degli altri. Facebook ha smesso di mostrare ai lettori gli articoli pubblicati dalle pubblicazioni, ricalibrando l’algoritmo in modo da sopprimere i post provenienti dalle pubblicazioni a meno che avessero pagato per “amplificare” i loro articoli ai lettori che si erano esplicitamente abbonati ad essi e avevano chiesto a Facebook di includerli nei loro feed.

    A questo punto Facebook ha cominciato a ficcare più pubblicità nel feed, mescolando la payola della gente che volevate ascoltare con la payola degli sconosciuti che volevano sequestrare la vostra attenzione. Ha offerto a quegli inserzionisti un ottimo affare, chiedendo una miseria per personalizzare le loro pubblicità sulla base dei dossier di dati personali raccattati senza consenso che vi avevano rubato.

    Anche i rivenditori erano diventati dipendenti da Facebook. Erano diventati incapaci di continuare a lavorare senza quelle inserzioni mirate. Questo è stato, per Facebook, il segnale per alzare i prezzi delle inserzioni, smettere di preoccuparsi così tanto delle frodi pubblicitarie e mettersi in combutta con Google per manipolare il mercato pubblicitario tramite un programma illegale chiamato Jedi Blue:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Jedi_Blue

    Oggi Facebook è in uno stato di immerdificazione terminale; è un posto terribile dove stare, sia per gli utenti, sia per le aziende nel settore dei media, sia per gli inserzionisti pubblicitari. È un’azienda che ha intenzionalmente demolito una grossa fetta degli editori sui quali contava, frodandoli e attirandoli in una “transizione al video” che si basava su asserzioni false riguardanti la popolarità dei video fra gli utenti di Facebook. Le aziende hanno speso miliardi per questa transizione, ma gli spettatori non si sono mai presentati, e le aziende di media hanno chiuso in massa:

    https://slate.com/technology/2018/10/facebook-online-video-pivot-metrics-false.html

    Ma Facebook ora ha una nuova proposta. Si fa chiamare Meta, e pretende che viviamo il resto dei nostri giorni come creature da cartone animato con pochi poligoni, senza gambe, senza sesso e pesantemente sorvegliate.

    Ha promesso alle aziende che fanno app per questo metaverso che non le fregherà come ha fatto con gli editori sul vecchio Facebook. Resta da vedere se troverà aziende interessate. Come ammise candidamente una volta Mark Zuckerberg a un suo coetaneo, meravigliandosi di tutti i compagni di studi a Harvard che mandavano le loro informazioni personali al suo nuovo sito Web “TheFacebook”:

    Non so perché.

    Si “fidano di me”

    Cretini.

    https://doctorow.medium.com/metaverse-means-pivot-to-video-adbe09319038

    Una volta capito lo schema della enshittification, molti dei misteri delle piattaforme si chiariscono da soli. Pensate al mercato del SEO, o a tutto il mondo dinamico dei creatori online che trascorrono ore infinite a fare inutile cremlinologia delle piattaforme, nella speranza di identificare le trappole algoritmiche che, se ci si incappa, condannano all’oblio le opere creative nelle quali riversano i loro soldi, il loro tempo e la loro energia:

    https://pluralistic.net/2022/04/11/coercion-v-cooperation/#the-machine-is-listening

    Lavorare per la piattaforma può essere come lavorare per un capo che preleva soldi da ogni busta paga per tutte le regole che hai violato, ma non ti dice quali sono queste regole, perché se te le dicesse capiresti come violarle senza farti scoprire da lui e senza farti togliere soldi dalla busta paga. La moderazione dei contenuti è l’unico settore nel quale la security through obscurity [sicurezza tramite segretezza] è considerata una prassi ottimale:

    https://doctorow.medium.com/como-is-infosec-307f87004563

    Questa situazione è talmente grave che organizzazioni come Tracking Exposed hanno arruolato un esercito umano di volontari e un esercito robotico di browser headless per cercare di decifrare la logica che sta dietro i giudizi arbitrari, da macchina, dell’Algoritmo, sia per dare agli utenti l’opzione di affinare i suggerimenti che ricevono, sia per aiutare i creatori a evitare il furto di salario che deriva dall’essere “shadowbanned” [banditi o resi invisibili senza esserne avvisati, N.d.T.]:

    https://www.eff.org/deeplinks/2022/05/tracking-exposed-demanding-gods-explain-themselves

    Ma che succede se non c’è dietro nessuna logica? O più direttamente, che succede se la logica cambia a seconda delle priorità della piattaforma? Se passeggiate lungo la via principale di un luna park, vedrete qualche povero pollo che va in giro tutto il giorno portando un enorme orsacchiotto di peluche che ha vinto tirando tre palle in una cesta.

    Il gioco della cesta è truccato. Il gestore può usare un interruttore nascosto per obbligare le palle a rimbalzare fuori dal cesto. Nessuno vince un orsacchiotto gigante, a meno che il gestore voglia che lo vinca. Perché il gestore ha lasciato che il pollo vincesse l’orsacchiotto? Perché così lo porterà in giro tutto il giorno e convincerà gli altri polli a pagare per avere la possibilità di vincerne uno:

    https://boingboing.net/2006/08/27/rigged-carny-game.html

    Il gestore ha assegnato un orsacchiotto gigante a quel povero pollo nella stessa maniera in cui le piattaforme assegnano le eccedenze a chi ha le migliori prestazioni: per farne un persuasore in una Truffa del Grande Magazzino. È un modo per irretire altri polli che creeranno contenuti per la piattaforma, ancorando ad essa se stessi e il loro pubblico.

    Il che mi porta a Tiktok. Tiktok è tante cose, ed è anche un “Adobe Premiere per teenager che vivono al telefono.”

    https://www.garbageday.email/p/the-fragments-of-media-you-consume

    Ma quello che lo ha reso inizialmente un grande successo è stato il potere del suo sistema di suggerimenti. Sin dall’inizio, Tiktok era veramente bravo a suggerire cose ai propri utenti. Inquietantemente bravo:

    https://www.npr.org/transcripts/1093882880

    Dando suggerimenti in buona fede su cose che pensava che sarebbero piaciute ai suoi utenti, Tiktok ha costruito un pubblico di massa, più grande di quanto molti pensassero possibile vista la pressione mortale dei suoi concorrenti, come YouTube e Instagram. Ora che Tiktok si è procurato il pubblico, sta consolidando i propri guadagni e cercando di attirare le aziende del settore dei media e i creatori che sono ancora cocciutamente legati a YouTube e Instagram.

    Ieri [il 20 gennaio scorso, N.d.T.] Emily Baker-White di Forbes ha pubblicato un resoconto fantastico di come funziona questo processo all’interno di Bytedance, la società che gestisce Tiktok, citando varie fonti interne e rivelando l’esistenza di un “amplificatore“ che i dipendenti di TikTok usano per inserire i video di alcuni account selezionati nei feed di milioni di spettatori:

    https://www.forbes.com/sites/emilybaker-white/2023/01/20/tiktoks-secret-heating-button-can-make-anyone-go-viral/

    Questi video finiscono nei feed Per te degli utenti di Tiktok, che Tiktok descrive in modo ingannevole come popolato da video “classificati da un algoritmo che prevede i tuoi interessi in base al tuo comportamento nell’app”. In realtà, il Per te è composto solo qualche volta da video che secondo Tiktok possono aggiungere valore alla tua esperienza: per il resto è pieno di video che Tiktok ha inserito per far credere ai creatori che Tiktok sia un posto magnifico per raggiungere un pubblico.

    “Le fonti hanno detto a Forbes che TikTok ha usato spesso l’amplificazione per corteggiare influencer e brand, stuzzicandoli ad avviare collaborazioni gonfiando il conteggio delle visualizzazioni dei loro video. Questo suggerisce che l’amplificazione è stata potenzialmente benefica per alcuni influencer e brand – quelli con i quali Tiktok cercava rapporti commerciali – a discapito di altri con i quali non li cercava.”

    In altre parole, Tiktok sta distribuendo orsacchiotti giganti.

    Ma il mestiere di Tiktok non è regalare orsacchiotti giganti. Nonostante le sue origini siano nell’economia cinese quasi-capitalista, Tiktok è semplicemente un altro organismo-colonia artificiale che tratta gli esseri umani come se fossero scomoda flora intestinale. Tiktok porterà attenzione gratuita alle persone che vuole accalappiare solo finché non le accalappia, e poi ritirerà quell’attenzione e inizierà a monetizzarla.

    “Monetizzare” è una pessima parola che ammette tacitamente che non esiste nessuna “economia dell’attenzione”. Non si può usare l’attenzione come mezzo di scambio. Non la si può usare per immagazzinare valore. Non la si può usare come unità di conto. L’attenzione è come una criptovaluta: un gettone senza valore, che è prezioso solo finché riesci a convincere o obbligare qualcuno a dare in cambio della valuta “reale” (“fiat currency”). La devi “monetizzare”, ossia devi scambiare i soldi finti con soldi veri.

    Nel caso delle criptovalute, la strategia principale di monetizzazione era basata sull’inganno. Gli exchange e i “progetti” distribuivano un sacco di orsacchiotti giganti, creando un esercito di capre di Giuda, credenti incrollabili, che convincevano i loro pari a dare al gestore del luna park i loro soldi e a cercare di mettere anche loro qualche palla nel cesto.

    Ma l’inganno produce solo una certa quantità di garanzia di liquidità [liquidity provision]. Prima o poi i polli finiscono. Per fare in modo che tanta gente tenti il tiro delle palle serve la coercizione, non la persuasione. Pensate a come le aziende statunitensi hanno messo fine alle pensioni con benefici definiti che garantivano un pensionamento dignitoso e le hanno sostituite con pensioni tipo 401(k) che si basano sul mercato e obbligano a scommettere i propri risparmi in un casinò truccato, trasformandovi nel pollo seduto al tavolo, pronto per essere cucinato:

    https://pluralistic.net/2020/07/25/derechos-humanos/#are-there-no-poorhouses

    La liquidità iniziale delle criptovalute è arrivata dal ransomware. L’esistenza di un serbatoio di aziende e di persone prese dal panico e dalla disperazione, i cui dati erano stati rubati da criminali, ha creato una base di liquidità in criptovalute perché potevano riavere i loro dati soltanto scambiando soldi veri con criptovalute fittizie.

    La fase successiva della coercizione sulle criptovalute è stata il Web3: convertire il Web in una serie di caselli a pagamento che si potevano valicare solo scambiando soldi veri con criptodenaro falso. Internet è una necessità, non uno sfizio; è un prerequisito per partecipare pienamente al mondo del lavoro, all’educazione, alla vita familiare, alla salute, alla politica, alle attività civiche, persino alle situazioni romantiche. Tenendo in ostaggio tutte queste cose dietro dei caselli di criptovalute, gli hodler speravano di convertire i loro gettoni in soldi reali:

    https://locusmag.com/2022/09/cory-doctorow-moneylike/

    Per Tiktok, distribuire orsacchiotti gratuiti “amplificando” i video postati da creatori e aziende di media scettiche è un modo per convertirli in credenti incrollabili, convincerli a mettere tutte le loro fiche sul tavolo, abbandonare i loro tentativi di crearsi un pubblico su altre piattaforme (ed è comodo che il format di Tiktok sia caratteristico, rendendo difficile riusare i video fatti per Tiktok e utilizzarli su piattaforme rivali).

    Una volta che quei creatori e quelle aziende di media saranno stati presi all’amo, inizierà la seconda fase: Tiktok ritirerà l’“amplificazione” che piazza i loro video in faccia a gente che non ne ha mai sentito parlare e che non ha chiesto di vedere i loro video. Tiktok sta eseguendo un balletto delicato: c’è un limite alla enshittification che possono infliggere ai feed dei loro utenti, e Tiktok ha tanti altri creatori ai quali vuole dare orsacchiotti giganti.

    Tiktok non si limiterà ad affamare i creatori privandoli dell’attenzione “gratuita” attraverso la rimozione del trattamento preferenziale nell’algoritmo, ma li punirà attivamente smettendo di inviare i video agli utenti che si sono abbonati a loro. Dopotutto, ogni volta che Tiktok ti mostra un video che avevi chiesto di vedere perde un’occasione di mostrarti invece un video che vuole che tu veda, perché la tua attenzione è un orsacchiotto gigante che può regalare a un creatore che sta corteggiando.

    Questo è esattamente quello che ha fatto Twitter nell’ambito della sua marcia verso l’immerdificazione: grazie ai suoi cambiamenti di “monetizzazione”, la maggior parte della gente che ti segue non vedrà mai le cose che posti. Io ho circa 500mila follower su Twitter, e i miei thread prima avevano abitualmente centinaia di migliaia o anche milioni di letture. Oggi ne hanno centinaia, forse migliaia.

    Ho appena pagato a Twitter 8 dollari per avere Twitter Blue, perché l’azienda ha indicato fortemente che mostrerà le cose che posto alle persone che hanno chiesto di vederle solo se pago un riscatto. Questa è la battaglia più recente in una delle guerre più lunghe e a fuoco lento di Internet: la lotta sull’end-to-end:

    https://pluralistic.net/2022/12/10/e2e/#the-censors-pen

    In principio vi erano i Bellhead, i fan della compagnia telefonica [la statunitense Bell, N.d.T.], e i Nethead, i fan della rete. I Bellhead lavoravano per le grandi compagnie telefoniche e credevano che tutto il valore della rete appartenesse doverosamente all’operatore. Se qualcuno inventava una nuova funzione, come per esempio l’identificazione del chiamante, quella funzione doveva essere realizzata solo in un modo che consentisse all’operatore di far pagare ogni mese per usarla. Era il Software-As-a-Service, versione telefonica.

    I Nethead, invece, credevano che il valore dovesse spostarsi verso la periferia della rete e si dovesse spandere, in forma pluralizzata. In teoria, Compuserve avrebbe potuto “monetizzare” la propria versione dell’identificazione del chiamante facendo pagare 2,99 dollari extra per vedere la riga “Da:” nella mail prima di aprire il messaggio – facendoti pagare per sapere chi stava parlando prima che tu iniziassi ad ascoltare – ma non lo fece.

    I Nethead volevano costruire reti diversificate con tante offerte, tanta concorrenza, e un passaggio facile e a basso costo fra concorrenti (grazie all’interoperabilità). Alcuni lo volevano fare perché ritenevano che la rete prima o poi sarebbe stata integrata nel mondo e non volevano vivere in un mondo di locatori affamati di riscuotere affitti. Altri credevano sinceramente nella concorrenza di mercato come fonte di innovazione. Alcuni credevano in entrambe le cose. In ogni caso, vedevano il rischio di cattura della rete, la spinta verso la monetizzazione attraverso l’inganno e la coercizione, e volevano tenerli lontani.

    Concepirono il principio dell’end-to-end: l’idea che le reti dovessero essere progettate in modo che i messaggi di chi voleva farsi sentire venissero consegnati ai punti di arrivo di coloro che volevano ascoltarli, nella maniera più rapida e affidabile possibile. In altre parole, anche se un operatore di rete avesse potuto fare soldi mandandoti i dati che lui voleva che tu ricevessi, il suo dovere sarebbe stato quello di fornirti i dati che volevi vedere tu.

    Oggi il principio dell’end-to-end è morto a livello di servizi. Gli utili idioti di destra sono stati ingannati, facendo loro credere che il rischio di una cattiva gestione di Twitter sarebbe stato un “woke shadowbanning” [un blocco non annunciato dei post, in base a dettami di “correttezza politica” estrema, N.d.T.], in base al quale le cose che dicevi non sarebbero arrivate alle persone che avevano chiesto di ascoltarle perché al “deep state” [“governo sommerso”, N.d.T.] di Twitter non piacevano le tue opinioni. Il rischio reale, ovviamente, era che le cose che dicevi non sarebbero arrivate alle persone che avevano chiesto di ascoltarle perché Twitter può fare più soldi immerdificando i loro feed e facendoti pagare un riscatto per il privilegio di essere incluso in quei feed.

    Come dicevo all’inizio di questo saggio, l’enshittification esercita una gravità quasi irresistibile sul capitalismo delle piattaforme. È semplicemente troppo facile girare la manopola dell’immerdificazione fino al massimo. Twitter ha potuto licenziare la maggior parte del suo personale di elevata competenza e girare lo stesso la manopola fino al livello massimo, anche con una squadra ridotta all’osso di lavoratori H1B [non statunitensi che hanno il permesso di residenza in USA solo finché lavorano in settori ad alta professionalità, N.d.T.] disperati e demoralizzati, che la minaccia dell’espulsione dal paese incatena alla nave di Twitter che sta affondando.

    La tentazione di immerdificare viene amplificata dai blocchi sull’interoperabilità: quando Twitter bandisce i clienti interoperabili, decide di menomare le proprie API e terrorizza periodicamente i propri utenti sospendendoli per aver incluso nelle loro bio i loro nomi su Mastodon, rende più difficile abbandonare Twitter e quindi aumenta la quantità di immerdificazione che gli utenti possono essere forzati a ingoiare senza rischiare che se ne vadano.

    Twitter non diventerà un “protocollo”. Scommetto un testicolo (non uno dei miei) che progetti come Bluesky non avranno alcuna presa significativa sulla piattaforma, perché se Bluesky venisse implementato e gli utenti di Twitter potessero riordinare i propri feed per minimizzare l’enshittification e abbandonare il servizio senza sacrificare i propri social network, questo stroncherebbe la maggior parte delle strategie di “monetizzazione” di Twitter.

    Una strategia di enshittification ha successo solo se viene applicata in dosi centellinate. Anche l’utente vittima del peggior lock-in alla fine raggiunge un punto di rottura e se ne va. Gli abitanti del villaggio di Anatevka nel Violinista sul tetto tollerarono per anni le incursioni violente e i pogrom dei cosacchi, fino al momento in cui non ne poterono più e scapparono a Cracovia, New York e Chicago:

    https://doctorow.medium.com/how-to-leave-dying-social-media-platforms-9fc550fe5abf

    Per le aziende confuse dall’immerdificazione, quell’equilibrio è difficile da raggiungere e mantenere. I singoli product manager, direttori e azionisti attivisti preferiscono tutti i guadagni rapidi al prezzo della sostenibilità, e fanno a gara a chi riesce per primo a mangiarsi il capitale iniziale. La enshittification è durata così a lungo solo perché Internet si è devoluta in “cinque siti web giganti, ciascuno pieno di screenshot degli altri quattro”:

    https://twitter.com/tveastman/status/1069674780826071040

    Con un mercato controllato da un gruppo di monopolisti amiconi fra loro, non compaiono alternative migliori che ci attirino e ci portino via; se compaiono, i monopolisti non fanno altro che comprarsele e integrarle nelle strategie di immerdificazione, esattamente come quando Mark Zuckerberg ha notato un esodo di massa di utenti di Facebook che stavano passando a Instagram e così ha comprato Instagram. Come dice Zuck, “È meglio comperare che competere”.

    Questa è la dinamica che si nasconde dietro l’ascesa e il declino di Amazon Smile, il programma nel quale Amazon dava una piccola cifra a enti benefici di tua scelta quando facevi acquisti su Amazon, ma solo se usavi lo strumento di ricerca di Amazon per trovare i prodotti che compravi. Questo dava ai clienti di Amazon un incentivo a usare il suo sistema di ricerca sempre più immerdificato, che poteva rimpinzare di prodotti di venditori che pagavano la payola e dei suoi prodotti-fotocopia. L’alternativa era usare Google, il cui strumento di ricerca ti mandava direttamente al prodotto che stavi cercando, e poi faceva pagare ad Amazon una commissione per averti mandato da Amazon:

    https://www.reddit.com/r/technology/comments/10ft5iv/comment/j4znb8y/

    La fine di Amazon Smile coincide con l’aumentata enshittification della ricerca in Google, l’unico prodotto di successo che l’azienda è riuscita a creare internamente. Tutti gli altri suoi successi sono stati comprati prendendoli da altre società: video, documenti, cloud, servizi per telefonia mobile. I suoi prodotti interni, invece, sono flop come Google Video, cloni (Gmail è un clone di Hotmail), o adattamenti di prodotti altrui, come Chrome.

    La ricerca in Google Search era basata sui princìpi definiti nel paper fondamentale del 1998 dei fondatori Larry Page e Sergey Brin, “Anatomy of a Large-Scale Hypertextual Web Search Engine”, nel quale scrissero che “i motori di ricerca finanziati dalla pubblicità saranno intrinsecamente favorevoli ai pubblicitari e contrari ai bisogni dei consumatori”.

    http://ilpubs.stanford.edu:8090/361/

    Anche con questa comprensione fondante dell’enshittification, Google non è riuscita a resistere al proprio canto delle sirene. Oggi i risultati di Google sono un pantano sempre più inutile di link autopreferenziali ai propri prodotti, di pubblicità di prodotti che non meritano di salire spontaneamente in cima all’elenco, e di spazzatura SEO parassitaria che cavalca tutto il resto.

    L’enshittification uccide. Google ha appena licenziato 12.000 dipendenti, è in panico totale per l’ascesa dei chatbot di “intelligenza artificiale”, e sta facendo pressing a tutto campo per avere uno strumento di ricerca guidato dall’intelligenza artificiale, ossia uno strumento che non ti mostrerà quello che gli chiedi ma ti mostrerà invece quello che pensa che dovresti vedere:

    https://www.theverge.com/2023/1/20/23563851/google-search-ai-chatbot-demo-chatgpt

    È possibile immaginare che uno strumento del genere possa produrre suggerimenti validi, come faceva l’algoritmo di Tiktok pre-immerdificazione. Ma è difficile immaginare come Google possa riuscire a progettare un front-end di ricerca sotto forma di chatbot che non sia immerdificato, visti i potenti incentivi di product manager, direttori e azionisti a immerdificare i risultati fino all’esatta soglia alla quale gli utenti sono quasi seccati abbastanza da andarsene, ma non del tutto.

    Anche se dovesse riuscirci, questo equilibrio di inusabilità quasi (ma non del tutto) totale è fragile. Qualunque shock di natura esterna, per esempio un nuovo concorrente come Tiktok che penetri i fossati e le muraglie della Big Tech, uno scandalo di privacy, una rivolta di lavoratori, può indurre oscillazioni violente:

    https://pluralistic.net/2023/01/08/watch-the-surpluses/#exogenous-shocks

    L’enshittification è veramente il modo in cui muoiono le piattaforme. E questo, in realtà, va benissimo. Non abbiamo bisogno di monarchi eterni di Internet. Va benissimo che emergano nuove idee e nuovi modi di lavorare. I legislatori e i responsabili delle politiche non dovrebbero concentrarsi sul preservare la senescenza crepuscolare delle piattaforme morenti. Semmai l’attenzione delle nostre politiche dovrebbe concentrarsi sul minimizzare il costo agli utenti quando queste aziende raggiungono la propria data di scadenza: stabilire per legge diritti come l’end-to-end significherebbe che per quanto autocannibale possa diventare una piattaforma-zombi, chi vuole parlare e chi vuole ascoltare possano sempre incontrarsi:

    https://doctorow.medium.com/end-to-end-d6046dca366f

    E chi decide le politiche dovrebbe focalizzarsi sulla libertà di uscita: il diritto di abbandonare una piattaforma che sta affondando ma continuare a restare collegati alle comunità che ci si lascia alle spalle, fruendo dei media e delle app acquistate, e preservando i dati creati:

    https://www.eff.org/interoperablefacebook

    I Nethead avevano ragione: l’autodeterminazione tecnologica è contraria agli imperativi naturali delle aziende tecnologiche. Guadagnano più soldi quando ci portano via la libertà: la nostra libertà di parlare, di andarcene, di collegarci.

    Per molti anni, persino i critici di Tiktok hanno ammesso a malincuore che per quanto fosse sorvegliante e inquietante, era veramente abile a indovinare cosa volevi vedere. Ma Tiktok non ha potuto resistere alla tentazione di mostrarti le cose che vuole che tu veda invece delle cose che vuoi vedere tu. L’immerdificazione è cominciata, ed è improbabile che ora si fermi.

    È troppo tardi per salvare Tiktok. Ora che è stato infettato dall’enshittification, non ci resta che ucciderlo dandogli fuoco [riferimento al meme “kill it with fire”, N.d.T.].

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