Patrick mi ha segnalato un articolo molto interessante. Lo riporto, aggiungendovi qualche mio commento finale!
Fonte: Margherita on line
Google: internet e responsabilità legali
Roma, 05-12-2006
di Alessandro Gilioli
Così come l’hanno messa i magistrati, l’accusa è un po’ ridicola: ‘Concorso in diffamazione per omesso controllo’. Come se fosse possibile controllare preventivamente le migliaia di clip che ogni giorno vengono caricati da privati cybernauti su siti come Google Video o YouTube. Altrettanto comico il fatto che l’apertura dell’indagine su David Drummond e George De Los Reyes (gli amministratori di Google Italia) sia stata accompagnata da una perquisizione della Finanza nella sede milanese dell’azienda, in piazzale Biancamano: quasi fosse possibile trovarvi lì, fisicamente, un corpo di reato per sua natura immateriale qual è un file digitale, già ovunque da diversi giorni.
Ma non è colpa di Francesco Cajani e Alfredo Robledo – i pm che indagano sul video del ragazzo disabile di Torino picchiato, filmato ed esposto su Google Video – se l’articolo del codice penale in base al quale si sono mossi (‘Reati commessi col mezzo della stampa periodica’) è stato modificato l’ultima volta nel 1958, quando Internet era ancora nella mente di Dio. Il problema semmai è che nel frattempo il mondo della comunicazione è un po’ cambiato e negli ultimi mesi ancora di più. Perché è esploso il fenomeno del cosiddetto Internet 2, cioè la Rete fatta con i contenuti degli utenti: blog, videoblog, wiki, e soprattutto siti che raccolgono clip, spesso girati con i telefonini, spediti e caricati da privati.
La rivoluzione in corso, è ovvio, trascende l’episodio di bullismo torinese (c’è il sesso di gruppo su teenager ad Ancona, c’è il tizio autofilmatosi mentre andava come un pazzo in moto…) e pone una serie di interrogativi. Tipo: di chi è la responsabilità, morale e legale, quando chiunque può immettere sul Web i propri contenuti fai-da-te? Del sito che fornisce gli strumenti tecnici per farlo o solo di chi ha prodotto e ‘uploadato’ in Rete il file? E ancora: questa possibilità di produrre video e di renderli pubblici è un fatto socialmente positivo (perché dà visibilità e trasparenza a eventi che altrimenti resterebbero nascosti) o al contrario è negativo perché provoca esibizionismo ed emulazione?
La questione legale in Italia è in una sorta di limbo, in attesa che il Parlamento produca una norma. Nel 2001 si è deciso di assimilare i direttori dei siti Web a quelli delle testate tradizionali, ma (per forza di cose) senza affrontare il problema degli ‘user generated contents’, i contenuti generati dagli utenti. Una recente sentenza del tribunale di Aosta ha equiparato ai direttori anche i titolari di blog, ma che succede se la diffamazione non viene attuata dal blogger, bensì da un internauta che manda i suoi commenti (pubblicati automaticamente nel blog stesso)?
Bel problema, a cui in Italia finora non ha risposto nessuno. Lo ha fatto invece la Corte Suprema della California, che ha assolto una blogger di San Diego (e con lei il suo Internet provider) per una diffamazione in un commento a un post: la responsabilità penale, ha sancito la corte, è solo di chi immette i contenuti, e non di chi offre i mezzi per la loro pubblicazione.
Una posizione condivisa dai maggiori studiosi italiani di nuovi media, come Giuseppe Granieri, autore di ‘Blog generation’ e ‘La società digitale’ (Laterza): “Non ha senso perseguire chi fornisce gli strumenti per la distribuzione, tipo YouTube”, sostiene Granieri: “Se impedissimo preventivamente la pubblicazione di video che contengono reati, probabilmente non avremmo mai notizia dei reati stessi: basta pensare che né il ragazzo disabile né le studentesse di Ancona avevano fatto denuncia. è sbagliato imputare il reato al mezzo, quasi che non siano le percosse a essere gravi, ma il fatto che grazie a un video ne abbiamo notizia…”.
Sulla stessa linea quasi tutti i pareri di blogger e appassionati di Web apparsi in Rete in questi giorni: chi, come la presidente di Iab Italia Layla Pavone, parla di “caccia alle streghe e ritorno al medioevo’; chi – sul forum di Mac Village – segnala ironicamente alle autorità dozzine di altri video da censurare, fornendo i relativi link (“Mi raccomando, eliminateli subito!”); chi infine si diverte a ‘uploadare’ su YouTube falsi video di bullismo girati in casa con gli amici. Il partito dell’antiproibizionismo elettronico assoluto, però, piace poco agli editori tradizionali.
I quali si chiedono: perché mai il proprietario di un sito Web su cui passa di tutto dev’essere imperseguibile, mentre le testate ‘normali’ pagano risarcimenti milionari? Siti come YouTube o Google Video ormai fanno miliardi con questi clip, ne accettino anche eventuali conseguenze legali. Un’asimmetria messa in luce tra gli altri dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, secondo il quale “il principio di responsabilità non può essere declinato in modo diverso a seconda del mezzo su cui viaggia un reato”. E anche il garante della privacy Franco Pizzetti non accetta l’idea di una Rete senza tetto né legge.
Ma, se si amplia un po’ la prospettiva, dalla questione legale si passa al problema, assai più vasto, della ‘valenza sociale’ della Rete fatta dagli utenti. È un bene o un male, per la libertà comune e la crescita collettiva, che ci sia un luogo dove chiunque può immettere senza paletto alcuno i suoi file audiovideo? Non c’è il rischio che, oltre a gettare luce su quello che avviene, questo boom di contenuti dal basso provochi forme di esibizionismo ed emulazione tutt’altro che auspicabili (tipo: si mena il coetaneo disabile o si molesta la compagna proprio per mettere poi il video in Internet)? Uno studioso di Rete come Vittorio Zambardino, nel suo blog su Repubblica.it, prende le distanze “da tutti gli ultrà” (compresi quelli del Web anarchico), ma si chiede anche: “Il video shock del ragazzo down, al di là delle intenzioni di chi lo ha realizzato e pubblicato, non è stato forse un contributo alla verità?”.
La risposta è ovviamente positiva e fa venire in mente che su YouTube, Flickr e similia sono finite ben altre immagini di denuncia, dalle torture di Abu Grahib ai pestaggi della polizia losangelina. E i rischi di emulazione o esibizionismo? Per Granieri sono un falso problema: “Se un ragazzo ha un’idea della vita che contempla le percosse a un compagno disabile, esprime quei ‘valori’. Il problema non è che li esprime, il problema è che ce li ha. Attraverso la sua espressione, anzi, ci permette di intervenire. Lo stesso per alcuni gruppi islamisti, per le frange violente di tifosi, per i pedofili. Che esistevano da sempre, ma da quando sono diventati un problema sociale? Da quando riusciamo a intervenire? Da quando affiorano in Internet”, conclude Granieri.
Anche in Rete, però, si discute sull’ansia da protagonismo generata dai video amatoriali sul Web. E ci si scherza su: nel popolare sito Macchianera.net, ad esempio, è apparsa una vignetta in cui un ragazzo – una pistola in una mano e una videocam nell’altra – si spara alla tempia dicendo: “Speriamo che mi mettano su YouTube…”.
Insomma, il video dei quattro gradassi piemontesi ha imposto una riflessione sugli effetti dei nuovi media, con le loro potenzialità e i loro rischi. E intanto quelli di Google cercano di uscire dalla tempesta che li ha coinvolti. I due indagati, Drummond e De Los Reyes, se ne stanno zitti zitti in California, mentre a Milano i dirigenti parlano di “continua collaborazione con le autorità”.
Informalmente fanno sapere che a Mountain View è allo studio un nuovo software – il cui funzionamento è ancora segreto – in grado di segnalare eventuali immagini violente agli amministratori del sito, in modo che questi possano intervenire subito e toglierlo. Uno scenario che fa pensare a un futuro in cui i clip ‘proibiti’ saranno emarginati dai siti più grossi (quelli di corporation quotate in Borsa) per continuare a circolare in forma più o meno mascherata nello smisurato sottobosco di Internet, tra indirizzi mutanti su server irrintracciabili o quasi. Che poi questo sia un bene o un male per la Rete e per la società, è ancora tutto da vedere.
Commenti personali.
Prima di tutto dico una probabile ovvietà, ovvero che la nostra normativa al riguardo è parecchio arretrata. Anzi, si può tranquillamente dire che esiste un vuoto normativo. E non si possono, a mio avviso, estendere per analogia le disposizioni sui ‘reati commessi con il mezzo della stampa periodica’. Sarebbe opportuno un intervento ad hoc, i direttori della carta stampata, in effetti, non hanno tutti i torti a lamentarsi dell’imperseguibilità del proprietario di un sito web. Ma è anche vero che non si può procedere mediante un’equiparazione pura e semplice dato che le problematiche che possono sorgere con l’uso del mezzo informatico sono estremamente diverse da quelle derivanti dall’uso della stampa o della televisione. Basti pensare alla “democraticità” di Internet, contrapposta al “dispotismo” degli altri mezzi di comunicazione. Non si può parlare di omesso controllo per Internet perché un conto è fornire i mezzi necessari per uploadare file o per consentire l’apertura di siti o blog, un altro è concorrere nella commissione di reati. Se, per esempio, non è realistico pensare che si possano pubblicare su un giornale articoli dal contenuto diffamatorio senza che il Direttore dello stesso ne venga a conoscenza (o possa comunque venirne a conoscenza), è invece estremamente realistico pensare che in Internet ciò possa avvenire e avvenga di continuo. Il caso del video messo in rete dai ‘bulli’ torinesi che pestavano il ragazzo disabile è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. Ma si può davvero pensare di ricondurre una qualche responsabilità agli amministratori di Google Italia? Non credo che la risposta possa essere positiva… La responsabilità penale è personale e i casi di responsabilità oggettiva sono da escludere, tuttavia mi sembra che, continuando su una certa linea, si sarebbe di fronte ad ipotesi di responsabilità oggettiva mascherata. Chiunque può immettere sul Web i propri contenuti e ognuno dovrebbe esserne personalmente responsabile. Ha agito bene, quindi, la Corte Suprema della California che ha assolto una blogger di San Diego (e con lei il suo Internet provider) per una diffamazione in un commento a un post: la responsabilità penale, ha sancito la corte, è solo di chi immette i contenuti, e non di chi offre i mezzi per la loro pubblicazione. Condivido pienamente: la responsabilità penale dovrebbe essere solo ed esclusivamente di chi immette i contenuti e non di chi offre i mezzi per la loro pubblicazione. E non potrebbe essere altrimenti, a meno di non voler oggettivamente (a prescindere dal dolo e dalla colpa, quindi) imputare la responsabilità penale ad altri soggetti (quali i proprietari o gestori dei siti… forse perché più facilmente identificabili?). Per lo meno, questo è il mio pensiero. Auspico quindi che il Parlamento intervenga al più presto in materia, magari avvalendosi anche di consulenti che abbiano competenze tecniche specifiche… Noto infatti che uno dei problemi principali della nostra legislazione (soprattutto in certi ambiti) è che nasce già “vecchia” perché non tiene in debito conto dei continui mutamenti sociali e tecnologici.
Per finire, una curiosità. La recente sentenza del tribunale di Aosta, che ha equiparato ai direttori anche i titolari di blog, dovrebbe riferirsi a questo blog politico, il cui proprietario è stato condannato a 10.000 euro di multa per diffamazione: Bolscevico stanco. L’uomo in questione si chiama Roberto Mancini ed è l’ex presidente dell’Ordine dei giornalisti della Valle d’Aosta (in carica per sei anni). E’ stato sospettato di aver firmato dei post con lo pseudonimo di Generale Zhukov attaccando, con parole molto sopra le righe, dei personaggi locali (in particolare politici).
Lascia un commento