Google v.s. Microsoft La guerra dei mondi digitali

Patrick:

Riporto un articolo che ho appena letto da Repubblica perchè molto interessante e ricco di spunti…:

SE VI DICESSERO che fra dieci anni non ci sarà più la Microsoft, che Bill Gates, il padrone di quella cosa che si chiama Windows e che accende il vostro computer ogni mattina, sarà un ormai anziano signore che rivanga in ogni intervista sui tempi andati in cui comandava il mondo, ci credereste? Potrebbe andare così o tutto al contrario, con Gates ambasciatore del mondo presso gli abitanti segreti di Marte. Se è poi questo ciò che ci interessa. Perché il punto vero è che questa guerra commerciale dichiarata ieri da Google a Microsoft potrebbe cambiare ancora più rapidamente il modo in cui viviamo, conosciamo, comunichiamo. Di “incredibile”, in questo campo, c’è molto poco.

Chi avrebbe definito credibile, dieci anni fa, che quella paginetta bianca del motore di ricerca, con quello strano logo a due “o”, avrebbe cambiato il mondo fino a far parlare di “economia della conoscenza”?

E chi avrebbe detto che una sua azione avrebbe avuto in borsa un valore di quasi venti volte superiore a quelle di Bill Gates? Così come sarebbe stato difficile prevedere che un giochino per impallinati, che è ciò che in tanti pensavano di Twitter, avrebbe messo in crisi per giorni e giorni la polizia di uno dei paesi più occhiuti e autoritari del mondo. Eppure è successo.
Adesso succede che Google ha deciso, a partire dal 2010, di lanciare – o far lanciare da altri – sul mercato nuovi computer che non avranno bisogno di Windows per partire e funzionare. Al suo posto ci sarà un sistema operativo alternativo, che si chiamerà “Google Chrome Os”. Sarà un software di base realizzato a Mountain View ma come si dice in gergo “open source”, cioè liberamente modificabile (e quindi capace di auto-implementarsi) da quel vasto movimento di “scrittori di codice”, contrari alla posizione ultradominante di Microsoft e uniti in una sorta di movimento di democrazia tecnologica. Fin qui il “sistema operativo”.


E i programmi per lavorare? Niente sulla “macchina”, che dovrà essere economica, leggera, senza spese. Poco computer, tanto Internet. Il “ferro” conta e vale sempre meno. Conoscenze e capacità, dati e programmi, professione e lavoro, e soprattutto abitudini di vita e di pensiero. Tutto, ma proprio tutto, si sposta sulla rete. L’uomo Google è “always on”, sempre collegato in rete.

Tra gli esperti – ieri la blogosfera, soprattutto americana, brulicava di migliaia di interventi e analisi – già si moltiplicano le obiezioni sulla fattibilità dell’operazione. Qualcuno fa notare che con i “netbook”, commercializzati anche in Italia, è stato già provata la soluzione “open source” e che i risultati commerciali non sono poi stati brillantissimi. Altri dicono che non si capisce chi penserà alla manutenzione, allo sviluppo del sistema, laddove attorno al “mondo Microsoft” oggi esiste una vera e propria economia, che provvede a tenere in piedi e far avanzare Windows e le applicazioni della sua galassia. Ma questa guerra è bilaterale e bisogna capire dove va a parare.

In realtà, con l’annuncio del computer senza Windows, Google ha solo risposto a un colpo che aveva ricevuto. Poco più di un mese fa, Microsoft ha lanciato “Bing”, il suo motore di ricerca. Grande clamore, grandi presentazioni, tante notizie positive sulla buona accoglienza da parte del pubblico. Ma in realtà una creaturina fragile e bisognosa di cure, proprio come il sistema operativo di Google appare in queste ore.
La logica del risiko, finanziario e pubblicitario, questa è. Ognuno dice di voler fare il mestiere dell’altro. Il motore di ricerca dice di poter diventare gestore dei nostri computer, cioè del nostro lavoro e dei nostri pensieri. Quelli che oggi hanno in mano i computer vogliono il pubblico del motore di ricerca per poterselo vendere alla pubblicità. In ballo non ci sono tecnicalità: ci siamo noi. Il nostro tempo, le nostre letture, i nostri gusti, i nostri acquisti (l’economia della conoscenza). Il tempo che passiamo, e che passeremo sempre più, attaccati al nostro strumento di lavoro collegato alla rete (e a un telefono: sia Microsoft che Google hanno loro soluzioni per gli “smart phone”). La competizione è a tutto campo.

Sotto le due sigle ci sono “mondi” di cose che avvengono e milioni di esseri umani che agiscono. È vero che il grosso dei soldi entrambi lo prendono dalle loro attività originarie. Microsoft dalla vendita dei programmi. Google con quella pubblicità di cui ha quasi il monopolio, fatta di “sponsored links”, quella che mentre scrivi un messaggio al tuo amico di Londra, fa apparire la scritta “Voli economici per Londra! Clicca qui”. Ma per il resto è una sorta di battaglia navale; posta gratuita contro posta gratuita, video contro video, social network contro social network, messaggerie contro messaggerie.

Microsoft ha alcuni vantaggi: milioni di utenti iscritti nel mondo dei giochi (la Xbox) che poi formano su Internet vere e proprie comunità di persone. Vende musica on line (ciò che Google non fa), ha un portale con milioni di iscritti (Msn). Ha i nostri nomi, i nostri indirizzi di posta, sa chi siamo. Viene da una tradizione industriale: “possiede” le persone, teoricamente può associare gli utenti dei sistemi operativi (oltre 60 milioni) che girano sui pc di tutto il mondo. Eppure fa fatica. Perché è “vecchia”. Lo spirito della rete sta con la “grande G”.

La “macchina” di Brin e Page – il cui algoritmo di base è il segreto meglio tenuto della rete – è ormai capace di “mappare” i pensieri della gente in tempo quasi reale. Se è vero che sulla base delle ricerche con la parola “influenza” e di quelle che ne descrivono i sintomi, è stato possibile tracciare il “cammino” dell’epidemia attraverso gli Stati Uniti, è pur vero che esiste ormai una Paura-Google in giro per il mondo.
Protestano e temono gli editori di giornali e televisioni, che si vedono “aggregati” e “disseminati” da Google News e da YouTube (che è proprietà della “G”), con perdita di lettori, dicono i giornali, e danno per i diritti, dicono le tv. Si lamentano gli editori di libri. La pubblicità è stata rivoluzionata dagli “sponsored links” (il 30 per cento di tutta la pubblicità on line è di Google) e dall’acquisizione di aziende specializzate nella “profilazione” degli utenti e della pubblicità mirata (Doubleclick).

Tutti temono la capacità di Google di disgregare le industrie che tocca, di svalutarne il contenuto, “regalandolo” poi alle persone che lo usano senza apparenti sacrifici di privacy e di “appartenenza” che Microsoft impone loro. Apparentemente. Google è un “ambiente” trasparente, funzionale, efficiente. Ci “si vive” bene. La sua efficienza è ormai proverbiale: a differenza di Microsoft, quando dichiara di voler realizzare qualcosa è più veloce e puntuale del concorrente nato negli anni ’80, nonostante abbia meno dipendenti e ingegneri. Google è “piacevole” da usare, ha il consenso dei suoi. Esiste un’opinione pro Google almeno quanto esistono gli antipatizzanti di Microsoft.

Ma la sua macchina sa tutto di noi: può collocare gusti, conoscenze e valori al posto giusto sulla mappa di un quartiere. E senza far nomi. E qualcuno, all’antitrust americana, comincia a fare domande scomode. Ma nel duello con Microsoft, la G ha nelle ali il vento della rete, la sua ricchezza sono gli utenti che lo istruiscono e fanno crescere ogni giorno, ricerca dopo ricerca, come un grande Blob dell’informazione. Forse Bill Gates deve pensare sul serio a preparare quelle interviste.”

Fonte: Repubblica

3 commenti su “Google v.s. Microsoft La guerra dei mondi digitali”

  1. Per me diventerà difficile scegliere…
    Sono pro-Microsoft da sempre, da quando ho iniziato ad “innamorarmi” col primo Windows 3.1…
    Da lì, il mio primo pc con Windows95 meritato con sudore nel lavare piatti e pentole per due estati…
    Fedele sempre a tutte le uscite di Microsoft, ho sempre cercato di capire al meglio quello che usavo… ora le cose stanno cambiando, e non posso continuare a fare finta di niente.
    Non mi sono mai “preoccupato” e non mi è mai interessato l’open source, non sono programmatore, penso che quelli bravi siano davvero pochi, preferisco lasciare fare il lavoro a chi è probabilmente capace di farlo BENE e ha le spalle grosse per farlo (vedi Microsoft)…

    Con google la cosa è completamente diversa xchè comunque gmail, calendar, reader, sono tutti ottimi applicativi, ma che comunque ho SEMPRE usato con Windows… Avrei anche continuato con questa strada, ma quando Microsoft ha progettato Internet Explorer 8 (uscito comunque da poco) e non mi ha permesso di usare questi applicativi BENE… ha giocato sporco!

    Il futuro è in continuo cambiamento, figuriamoci per l’informatica… La strada che intraprenderà google sarà seguita da me più di quella attuale che adotta Microsoft. Ho iniziato con Chrome che ora uso praticamente sempre tranne che per quando ho da fare home-banking, proverò poi questo Chrome OS e se dovrò cambiare cellulare penso passerò al suo HTC…

    Insomma, ho la testa pronta per la mia conversione!

  2. Intanto continua la lotta di Microsoft nei confronti di Google… Potesse secondo me si alleerebbe anche col Diavolo…:

    Microsoft

    NEW YORK – Per i più vecchi, che hanno cominciato a usare internet negli anni ’90, cercando i siti su Yahoo!, sarà un trauma. Perché la ricerca di Yahoo! scompare, o meglio si trasforma in Bing. Il motore di Microsoft. Dopo tre anni di tentativi, accordi quasi fatti, acquisizioni ipotizzate, scambi di montagne di denaro che erano solo su carta, Microsoft e Yahoo! varano oggi un matrimonio infrangibile che solo nominalmente ha una scadenza, un giuramento di sangue che li allea definitivamente nella loro guerra dei motori di ricerca. Il nemico? Google.

    L’intesa prevede di unire la tecnologia Microsoft alla forza di vendita pubblicitaria di Yahoo!. L’accordo dura 10 anni: Microsoft compra la licenza esclusiva per la tecnologia di ricerca sul web di Yahoo! per poterla usare su tutti suoi siti e servizi. Yahoo! stima che l’intesa le porterà benefici annuali per 500 milioni di dollari e risparmi per circa 200 milioni. Attenzione si tratta di risparmi, soldi vivi non ne passano.

    Accordo che non sposta gli equilibri proprietari delle due aziende. E’ quasi un incontro nello spirito della crisi, che permette ai due partner di risparmiare “barche di soldi” (l’espressione è della amminstratrice delegata di Yahoo!) tagliando centri di sviluppo software, sistemi per la pubblicità e investimenti sul motore (e licenziare “barche” di persone, va aggiunto). E permette di realizzare un’alleanza strategica dalla quale non si torna indietro. Vediamo di cosa si tratta.

    Ognuno di noi, ogni giorno, usa un motore di ricerca. La ricerca è il respiro conoscitivo della rete. Negli Stati Uniti – ma non bisogna dimenticare che la dimensione di questo scontro è globale – Google ha il 65% di tutte le ricerche fatte dagli utenti. Le ricerche sono soldi per i motori: ad ogni pagina di risultato è possibile “servire” pubblicità congruente con i risultati, e sono centesimi che si aggiungono a un fiume. Di questo mercato Microsoft, che ha di recente lanciato il suo nuovo motore Bing, e Yahoo! hanno rispettivamente l’8,4 e il 19,5 per cento. Meno del 30 per cento contro il 65 (dati Comscore).

    Ed è anche un 30 che potrebbe destare l’attenzione del Dipartimento di Giustizia perché l’operazione riduce la libertà di scelta degli utenti della rete. Prima di essere operativo l’accordo dovrà avere l’ok del dipartimento, che da ultimo sta riservando qualche attenzione anche alle pratiche business di Google. La borsa invece sta già premiando il titolo di Yahoo! dopo anni di carestia e ristrettezze.

    Ma perché Yahoo! mette il suo gioiello più prezioso al servizio del’alleato? L’azienda ha al suo interno una potenza tecnologica competitiva con quella di Google per quanto riguarda la possibilità di associare pubblicità a ricerca (la società Ouverture, che questo business lo ha inventato, è stata da tempo comprata da Yahoo!). E’ come se il motore ancora forte e valido di una vecchia Mercedes fosse messo in un’auto dalla carrozzeria più nuova dove potrà esprimere tutta la sua forza. La marca che sopravvive però non è quella della vecchia mercedes: Yahoo avrà Bing sulla sua carrozzeria e sotto ci sarà il suo motore.

    Ma, come visto, si vive di pubblicità: qui sarà la tecnologia Microsoft che organizza campagne e distribuisce le inserzioni (lo AdCenter) a metterci un altro componente. E’ come se i due partner avessero smontato le loro due auto difettose (difettose, si fa per dire) per farne una competitiva.

    Poi c’è la pubblicità “display”, quella che si fa con i banner, con gli annunci grafici e video come se ne vedono anche sul sito di questo giornale. Qui i due portali che dispongono di servizi di community e social network – parliamo di Yahoo! e Microsoft – hanno un vantaggio: hanno spazio per metterli, pubblico che li guarda e una buona conoscenza da parte del mercato. Potrebbero raccogliere un buon punto di vantaggio e molti molti soldi sul mercato. Sono un mondo che Google possiede solo in parte.

    L’accordo è solo apparentemente tecnico. Le sue conseguenze si verificheranno anche sui social network con l’integrazione sempre più profonda dei vari facebook e twitter sia all’interno dei siti, dove le persone si intrattengono e informano, sia nei sistemi pubblicitari.

    Fonte: Repubblica.it

  3. Riporto un Bell’articolo che mi ha linkato una mia amica!
    (non me ne voglia Google…)

    BING È UN MOTORE MIGLIORE DI GOOGLE.
    Lorenzo Thione - Bing
    Bing, soggetto. È, copula. Un motore, predicativo del soggetto. Migliore, attributo. Di Google, complemento di paragone. Da piccolo a Lorenzo Thione l’analisi logica piaceva parecchio. Si sedeva al secondo banco della quarta B della scuola elementare Cesare Battisti di Milano e finiva gli esercizi prima dei compagni. Non poteva però immaginare che proprio l’analisi logica, un giorno di luglio di vent’anni dopo, gli sarebbe valsa una somma da superenalotto: 100 milioni di dollari.

    I soldi sono quelli di Microsoft, e sono arrivati dalla cessione di Powerset, la società fondata nel 2007 da Thione e dall’amico Barney Pell. Ma cosa aveva Powerset di tanto speciale? «Il segreto per battere Google», dice Thione, 30 anni e già molto sicuro di sé. In pratica, una tecnologia per il web capace di comprendere le stringhe di testo inserite dagli utenti sulla base di una simulazione del ragionamento umano.

    Lorenzo Thione è nato a Como ed è cresciuto a Milano: è un ragazzo di bell’aspetto, atletico, vestito alla moda. Lo incontriamo negli uffici di Powerset, al terzo piano di una palazzina di vetro e acciaio con vista panoramica sul Bay Bridge di San Francisco. Non a Redmond, vicino Seattle, nel quartier generale di Microsoft: un accorpamento più radicale sarebbe stato giustificato e invece l’azienda se ne sta negli uffici dove è nata, con tanto di murales in stile californiano all’ingresso. A guidarla ci sono sempre Lorenzo e soci. Lo staff, una settantina di geniacci in tenuta da geek (pantaloni al ginocchio, barbetta disordinata, occhiali dalla montatura nera), è tutto intento a lavorare su Bing. Il search engine di Microsoft. Negli uffici di Powerset al terzo piano di Brennan Street il clima è rilassato. Tecnici, ricercatori e segretarie con la maglietta “I bing!” pescano con una certa frequenza la loro dose di zuccheri in uno scatolone pieno di m&m’s e caramelle gommose. All’ingresso campeggia un cesto colmo di frutta, e a poca distanza si trovano la mensa, due o tre sale riunioni e la zona ricreativa, con tavolo da pingpong, calcio balilla e videogiochi. Un’azienda in pieno stile new economy, insomma, che il passaggio a Microsoft non ha cambiato di una virgola. Dopo una porta a vetri, in un gigantesco open space trovano spazio una settantina di scrivanie più o meno disordinate. Tra cui quella di Thione: i capi qui stanno insieme a tutti gli altri, fin dai primi tempi.

    Nella sala d’attesa sono appesi alle pareti i ritagli dei giornali di tutto il mondo che, già due anni fa, con la società appena nata e ben prima del passaggio a Microsoft, salutavano la nascita di “un nuovo Google”. Di quotidiani o riviste italiane non c’è traccia. Per Thione non è un cruccio: «Sono andato via dall’Italia nel 2000». A 22 anni, senza aver ancora ottenuto la laurea al Politecnico: una borsa di studio alla University of Texas, e via. «Appena dissi ai miei che l’avevo vinta, capirono subito che non sarei più tornato». Nella torrida Austin, Thione si appassiona all’intelligenza artificiale e, nell’estate del 2002, appena laureato, si guadagna immediatamente un posto di internship all’FX Palo Alto Laboratory. Pochi mesi dopo entra nel mitico Fuji-Xerox Research Center, poi divenuto Palo Alto Research Center. Il Parc. Il più avanzato laboratorio di tecnologie informatiche e digitali, dove sono stati inventati il mouse e i primi sistemi operativi Mac. «Storicamente il Parc non ha avuto una grande fortuna commerciale », sostiene Thione: «Non è stato mai in grado di far fruttare le tecnologie, pur straordinarie, che venivano realizzate nei suoi laboratori. Anzi, a dirla tutta, credo che quello che abbiamo sviluppato noi sia uno dei pochi casi di successo commerciale».

    Ma prima di arrivare ai milioni di Microsoft, torniamo al 2002, ai laboratori Xerox, dove il giovane ricercatore italiano si specializza nella “linguistica computazionale”, una branca dell’intelligenza artificiale dedicata alla comprensione del linguaggio umano da parte di un computer. «Gli americani a scuola non fanno l’analisi logica che, al contrario, finisce per uscire dalle orecchie di qualunque studente italiano, fin dalle elementari. Ed è proprio l’analisi logica l’elemento più importante della linguistica computazionale ». Circa un anno dopo l’ingresso in Xerox, a Thione viene l’intuizione di applicare i suoi studi al web. Obiettivo: creare il motore di ricerca migliore del mondo. «Avevo sviluppato un modo diverso di interpretare le stringhe di ricerca. Mentre Google e gli altri motori guardano la rilevanza di una parola, il mio sistema cerca di interpretare l’intera frase». Un esempio non a caso: «Pensate alla frase “Microsoft si mangia Powerset”, può essere interpretata in due modi totalmente diversi. Per Google potrebbe benissimo valere anche quello, sbagliato, della prima che si mangia fisicamente la seconda. Con risultati fuorvianti. La mia tecnologia tenta invece di capire il significato intrinseco della frase, di comprendere cioè che è solo un modo di dire». E dunque tra le pagine dei risultati troveremo tutte le notizie sull’acquisizione aziendale.

    Dopo tre anni passati a consumare tastiere per programmare i nuovi codici, nel 2005 Thione decide che è giunto il momento di aprire un’azienda, insieme all’amico Barney Pell, conosciuto proprio nei laboratori del Parc. «Io sono un ricercatore, lui invece ha una mentalità più imprenditoriale. Prima di partire ha analizzato il mercato, per vedere se c’era un modo di capitalizzare l’idea». Il modo c’era. Powerset. Thione & Pell iniziano a cercare fondi. Negli Usa ci sono persone disposte a investire centinaia di migliaia di dollari in nuovi progetti sperando di ricavarne milioni. O miliardi. Sembra un gioco d’azzardo. «Ricordo che ci concedevano 90 secondi: 90 secondi per convincerli. Quello che dicevamo lo ricordo ancora a memoria: “L’applicazione innovativa della tecnologia Nlp (Natural language processing) messa a punto dal Parc negli ultimi trent’anni, insieme alla nostra tecnologia di indicizzazione del contenuto dei siti web, può offrire ai consumatori una ricerca più efficace, più naturale e più soddisfacente”. Così abbiamo ottenuto i nostri primi due milioni e mezzo».

    È L’INIZIO. Uno staff di una dozzina di persone, computer e software nuovi di zecca, una sede in comodato dal fondo di investimento. Per nove mesi si lavora per realizzare un prototipo e, all’inizio di novembre 2006, Thione & Pell sono pronti a sostenere un “institutional round” con gli investitori. Qualcosa di un po’ più lungo del minuto e mezzo precedente. Il progetto piace: arrivano altri 12 milioni di dollari. La start-up si espande, portando l’organico a 30 persone, e Lorenzo trova casa e nuovi uffi ci nell’amata San Francisco, nel centralissimo quartiere South of Market. Uno dei primi assunti arriva da Google: è Franco Salvetti, trentino, 42 anni. Da sette vive negli Stati Uniti. «Quando mi hanno contattato e mi hanno parlato di una “big thing”, ho capito subito di che cosa si trattava». In Silicon Valley, quando ci si riferisce a una “grande cosa” spesso si parla del prossimo motore di ricerca. Ma il motore di Powerset non è come tutti gli altri. Salvetti se ne rende subito conto: «Mi misero a lavorare su nomi propri, punteggiatura, parole ridondanti o inutili, sinonimi …». Una volta messo su l’organico, Thione è pronto a decollare. Alla fine del 2007 il vero test: un accordo con Wikipedia. «Con il nostro sistema era possibile eseguire le ricerche con frasi uguali a quelle che si sarebbero usate in una normale conversazione», dice Salvetti. «Digitate “Hulk Hogan vs André The Giant” nella versione in inglese dell’enciclopedia e verrete indirizzati verso la pagina di Wrestlemania III (teatro del più epico scontro tra i due wrestler). Provate a farlo nella versione italiana, che non sfrutta il nostro sistema, e avrete risultati molto diversi». In realtà non molto (il risultato “Wrestlemania III” è al nono posto), ma l’esperimento pilota va benissimo. L’accoglienza degli addetti ai lavori è ottima, tanto che nel giro di qualche settimana si fa viva Microsoft: vuole una partnership.

    È IL 1 FEBBRAIO 2008, lo stesso giorno in cui, su tutti i giornali, esce la notizia che il ceo di Redmond Steve Ballmer ha offerto 44 miliardi di dollari (e rotti) per acquistare Yahoo. La strategia è la stessa: dare la caccia a Google. Dopo il celebre rifiuto dell’allora capo esecutivo di Yahoo Jerry Yang, a Microsoft non resterà che rivoluzionare il proprio motore di ricerca, il disastroso Live Search. E puntare diritto sull’intelligenza artificiale. Negli uffici di Powerset sbarca una delegazione di una dozzina di persone, capitanata dal vicepresidente Harry Shum. Il team di “men in black” vuole capire come funziona quella start-up di successo. Ricorda Thione: «Si sono voluti calare nella nostra realtà: sedendosi alle nostre scrivanie, pranzando nella nostra mensa, partecipando alle riunioni del mattino e sfidandoci a ping-pong. Ma, soprattutto, scoprendo che anche noi, come loro, eravamo votati all’innovazione del web e che lo sforzo era comune».

    Il risultato di questa approfondita analisi culturale è tutto in una parola: “aspirational”. Per il colosso, quella start-up è un esempio da seguire. Anzi, da acquistare. Inizia una trattativa. Gli investitori di Powerset naturalmente vedono di buon occhio l’operazione. A Thione interessa di più la possibilità di accedere alle risorse necessarie per migliorare la sua tecnologia. Si va avanti per quattro mesi, ma il tempo sta per scadere: «Stavamo per esaurire i nostri fondi e non potevamo cercare finanziamenti da altri investitori. Rischiavamo di andare tutti a casa». Ma il lieto fine era dietro l’angolo. Merito anche delle scelte fatte da Thione sulle licenze di utilizzo. «Avevamo utilizzato diversi linguaggi, da Java al C, passando per Ruby e tanti altri. Puntando molto sull’open source, ma io ho sempre tenuto sotto controllo le licenze dei vari software che usavamo, perché sapevo che un giorno, in caso di acquisizione, queste potevano dare problemi ». Ai primi di luglio 2008, la stretta di mano finale. Powerset è acquisita per una somma ancora mai ufficialmente dichiarata: «Comunque nell’ordine dei 100 milioni». Bing! Complice la crisi finanziaria mondiale, Powerset resta a San Francisco, Lorenzo Thione viene nominato “principal program manager”. Il che vuol dire che tutto l’organigramma per quanto riguarda la programmazione fa riferimento a lui. Il che vuol dire che è lui il capo della ricerca e sviluppo del progetto Bing. Lui è Bing.

    SQUILLA IL TELEFONO. È una chiamata da Redmond. Cosa è cambiato dopo l’annessione a Microsoft? «Non troppo», risponde. «Siamo rimasti gli stessi, siamo ancora qui nei nostri uffici, lavoriamo ancora allo stesso modo. Certo, ora facciamo parte di un’azienda da 90mila persone». Il che significa più voli San Francisco – Seattle, meeting più lunghi, più capi a cui rendere conto. «Ma anche orari più umani», interviene Salvetti: «E meno tensione. Non siamo più una start-up con i soldi pronti a finire da un momento all’altro». «In effetti, prima era una battaglia quotidiana per la vita o la morte», ammette Thione: «Ora possiamo dedicarci con più serenità allo sviluppo di Bing». Ora il team di San Francisco può considerarsi a tutti gli effetti il padrone assoluto del motore di ricerca. «Lavoriamo su tre ambiti », spiega Thione. Il primo è la ricerca “verticale”. Un motore di ricerca verticale si concentra intensamente su una piccola nicchia del mercato (lo sport, la storia, la tecnologia, la geografia ecc.) con il risultato di andare più a fondo. Allo stesso modo, i tecnici e i linguisti di Powerset «stanno cercando di individuare le espressioni caratteristiche di ogni nicchia, per fare di Bing la somma di tanti motori verticali».

    Il secondo ambito sono le “caption”, quei mini-riassunti che compaiono sotto a ogni link nella pagina dei risultati di ricerca dei motori web. «Se guardi quelli di Google, per esempio, sono molto imprecisi e raramente danno un’idea di ciò che troverai cliccando su quel link. Noi stiamo cercando di migliorare proprio questi contenuti», dice Thione. Il terzo obiettivo è migliorare la “rilevanza”, cioè la qualità dei risultati. Affidandosi sempre più alla sua arma vincente: la capacità di farsi capire dal computer.

    A dire il vero ci sarebbe un quarto obiettivo non dichiarato: far funzionare Bing in tutto il mondo. Attualmente, infatti, l’unica edizione completa, che sfrutta appieno la tecnologia Powerset, è quella americana. La sola lingua che viene compresa bene dal computer, quindi, è l’inglese. In Italia, come nel resto del mondo, Bing è in versione beta. Che più o meno funziona come Google, senza cioè il valore aggiunto della linguistica computazionale made in San Francisco. «Per integrare un nuovo linguaggio», dice Thione, «ci vuole un apposito team, che lavori sulle particolarità e le regole della lingua». Va da sé che le prime versioni localizzate saranno quelle che hanno i più grandi bacini d’utenza: cinese, spagnola e francese. Per la “nostra” si dovrà aspettare la fine del 2010. E chissà che allora non sia già a buon punto l’inseguimento a Google. La strada, del resto, è stata spianata qualche mese fa, dal nuovo accordo con Yahoo. «È un bel colpo», ammette Thione: «In questo modo, guadagniamo la loro quota di mercato e possiamo partire da una base più solida». Negli Usa, infatti, Yahoo e Bing, insieme, oggi raggiungono quasi il 30 per cento. Un bel passo avanti rispetto al 12 per cento del solo Bing, che comunque aveva già conquistato 3 punti percentuali nei suoi primi tre mesi di vita.

    MA È PENSABILE CHE GOOGLE resti a guardare? Secondo Thione sì: «Negli ultimi 10-12 anni, la qualità della loro tecnologia non è migliorata. Noi, invece, abbiamo margini di sviluppo enormi». (Si stima che la linguistica computazionale, che dà cervello alla tecnologia di Powerset, sia ancora sotto il 20 per cento del suo potenziale). E una visione più innovativa: «Il nostro obiettivo non è aiutare l’utente a raggiungere il sito X, ma offrirgli alternative intelligenti». Così, lo studente che cerca “Seconda Guerra Mondiale” su Bing non si trova davanti solo un elenco di link, ma una serie di suggerimenti: le battaglie più importanti, i personaggi, i musei e perfino i videogiochi ispirati al conflitto. E se su Bing cerchiamo il futuro di Lorenzo Thione? «Mi manca l’adrenalina della start-up, lavorare 23 ore al giorno e dormire sul puf nella sala del ping-pong. Sono cose che ho nel sangue. È per questo che m’immagino a lanciare qualcosa di nuovo, molto presto». Lo dice col sorriso sulle labbra, ma con l’espressione di chi ha già in mente la prossima avventura.

    Fonte: wired.it

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